Dieci carceri italiane denunciate per aver torturato un prigioniero tunisino: ‘i marciapiedi sono sporchi di sangue’ | All’estero

Dieci guardie carcerarie nel nord Italia sono accusate di aver torturato un detenuto di origine tunisina ad aprile. Lo riferisce la Procura della Repubblica italiana.

Presumibilmente hanno preso a calci e picchiato il prigioniero. Quindi avrebbero cercato di nascondere le loro azioni nei rapporti successivi. Tuttavia, grazie alle telecamere di sorveglianza, i loro rapporti non sono validi.

Il procuratore Gaetano Calogero Paci ha detto giovedì in una conferenza stampa che il prigioniero è stato costretto a sdraiarsi sul pavimento, dove gli è stata posta una federa sopra la testa. È stato “preso a calci e pugni in faccia e nel corpo”, ha detto Pace ai media locali. È stato quindi spogliato dei suoi vestiti, picchiato di nuovo e messo in isolamento.

Per attirare l’attenzione, il prigioniero ha rotto un lavandino nella stanza. Il 40enne si è ferito usando la spazzatura per chiamare un medico. “Le ferite erano così profonde che l’intero corridoio era coperto di sangue”, ha riferito il quotidiano italiano. In Riformista.

Sulla base della denuncia presentata dal detenuto, la polizia ha condotto un’indagine. Le riprese video girate nella prigione hanno aiutato a identificare i sospetti, secondo i media locali. I poliziotti imputati della città di Reggio Emilia sono ora sospesi da dieci a dodici mesi, ma per ora restano liberi.

Non è la prima volta

Il caso ricorda la morte di Stefano Cucci. Il giovane romano è morto nella sua cella nel 2009 dopo essere stato duramente picchiato durante il processo. Fu solo dopo anni di procedimenti giudiziari che i primi agenti furono incarcerati, ma la maggior parte delle persone coinvolte è ancora libera.

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“Questo è un altro esempio dell’importanza della legge che punisce la tortura”, ha detto Iliara Kuchi. È la sorella di Stefano, senatore della Coalizione Verde e Sinistra. “Le carceri dovrebbero essere luoghi di rieducazione, non luoghi di tortura”, continua. Ad aprile, Kuchi è andato in prigione. Parla delle condizioni ‘drammatiche’ e ‘spregevoli’ in cui vivono i detenuti. «Purtroppo Reggio Emilia non è un caso isolato», conclude Cucci.

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