Giornale cinematografico I reportage sulla 73a edizione della Berlinale, dove molti film incentrati su personaggi rinchiusi sembrano riflettere la chiusura globale del Covid.
Solo poche settimane dopo aver cambiato l’obbligo della maschera facciale in Germania, l’edizione 2023 sarà la prima Berlinale dal 2020 senza restrizioni. Naturalmente ci sono film in programma che riflettono quegli anni di lockdown.
Questo viene fatto in modo esplicito, ad esempio nel documentario italiano Le Mura di Bergamo (Mura bergamasche), che viene mostrato qui venerdì. Ci sono anche alcuni documentari che non parlano esplicitamente di covid, ma sono stati girati in diversi anni, quindi le maschere appaiono improvvisamente sullo schermo: a volte sono capovolte, altre volte è semplicemente così.
Ma la cosa più interessante è che gli anni della pandemia sembrano scivolare via in modo più simbolico. Ad esempio, c’è un piccolo ma sorprendente filo rosso nel programma del film in cui i personaggi rimangono bloccati in un piccolo spazio. Nessuno di loro parla esplicitamente di Covid, eppure incarnano questo zeitgeist.
Questo può avvenire in modi molto diversi. brasiliano Propidazione (proprietà) si trasforma in un thriller con un taglio apertamente politico, quando una donna traumatizzata da un rapimento passato rimane intrappolata nella sua auto pesantemente blindata e molestata dai braccianti agricoli della sua famiglia recentemente licenziati.
Thriller giapponese #fessura Fa più trito lattiginoso rispetto al concetto di un sito. Un uomo d’affari di successo cade in un pozzo la notte prima del suo matrimonio dopo una festa a sorpresa dei suoi colleghi. Con una grave ferita alla gamba e un segnale GPS debole, deve cercare soccorso, e diventa solo più difficile man mano che i colpi di scena continuano ad accumularsi. Il film non sa proprio come tenere il ritmo: dopo un’energica ripresa, il film perde ogni credibilità nella sua (molto lunga) sezione centrale, rendendo meno efficace l’atto finale carico di emozioni. Eppure lo è #fessura Un bel compromesso tra altri due film asiatici di Midnight Madness scelti fuori concorso: da una parte gli effetti divertenti e lo stile hongkonghese sopra le righe. La follia del destinod’altra parte, un film Netflix coreano appariscente ma molto generico Uccidi la boxe.
All’altra estremità dello spettro di credibilità la realtà. È anche un thriller, ma basato strettamente sulla realtà. Per la precisione, le trascrizioni del primo interrogatorio dell’FBI di Reality Leigh Winner, che in seguito sarebbe stato condannato a cinque anni di carcere per aver fatto trapelare alla stampa documenti riservati come dipendente della NSA. La regista Tina Sater ha adattato la sua opera teatrale all’incredibile film di Kamerspil, rafforzata dalle potenti interpretazioni di tranceStar Sydney Sweeney nel ruolo del titolo. Sebbene i dialoghi siano basati parola per parola su domande reali, Satter fornisce un contesto e un commento sfumati attraverso sofisticate inquadrature.
Poi c’era Rolf de Hierz La sopravvivenza della gentilezza, che è una combinazione intrigante ma non del tutto riuscita. De Heer tesse un’immagine innovativa della vita aborigena, come ha mostrato nei film precedenti Dodici barche (2009) e Charlie di campagna (2012), con Pazzo MassimoCome elementi post-apocalittici. Il suo personaggio principale BlackWoman viene lasciato in una gabbia nel deserto. Riesce a scappare e poi vaga per questo mondo fatiscente, dove una pandemia senza nome provoca il caos, anche se alla fine la domanda è se può davvero lasciarsi alle spalle questa prigione. La “gentilezza” del titolo è incarnata da BlackWoman, che riesce a sopravvivere con crescente difficoltà in questo paesaggio arido. È così che succede La sopravvivenza della gentilezza Sempre più un’allegoria di ciò che abbiamo vissuto collettivamente negli ultimi anni, filtrato attraverso la lente specifica della mitologia antica.
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