Di cos’altro potrebbe parlare il film Anita Ekberg Iniziare dalla Fontana di Trevi a Roma? Lì, attraverso la scena principale del classico La dolce vita (1960) di Federico Fellini, è permanentemente inserita nella memoria collettiva come l’ultima voluttuosa vampira bionda. Almeno, se ignoriamo per un momento la Marilyn Monroe contemporanea. E chi meglio di… interpretare Ekberg in un film sulla sua vita? Monica Belucci?
Dopotutto, anche questa è una bionda – rimbalzo – bruna. Anche una mora debole. L’attrice italiana, ex “top model”, sa cos’è la bellezza e come può semplificarti la vita e rovinarla. Così pensava Antonio Panizzicapo La ragazza alla fontana (80 minuti), interpretato da un attore nel film stesso Roberto DiFrancesco, sul posto quando volle ricostruire scene chiave della vita dell’ex Miss Svezia (1951). Anche i preparativi, anch’essi una sorta di rievocazione, sono stati girati immediatamente come B-roll, se puoi ancora seguirli tutti.
“Ti ho sempre immaginato nei panni di Anita”, dice il regista, l’attore vero Di Francesco, quando la Bellucci si prova un vestito sexy. “Ora sei qui.” Poi ti chiedi se è deluso. “Sai come sono i ragazzi come te”, dice, ridendo maliziosamente mentre interpreta una versione di se stessa, che presto sarà interpretata da Anita Ekberg. “Vuoi qualcosa, ma una volta che l’hai, non ne hai più bisogno.” Così, insieme gli attori creano un palazzo di specchi, dal quale, nelle parole di Bellucci, scritte o meno, devono in qualche modo emergere “due donne oggettive”.
Perché The Legend Ekberg potrebbe aver iniziato fontana di TreviIn un certo senso, anche la sua vita e la sua carriera sono finite lì. Qualunque cosa fosse o qualunque cosa abbia provato, per i suoi fan – e per i paparazzi che l’hanno attaccata – è sempre rimasta quella voluttuosa vampira bionda. Una donna ridotta alla fantasia che gli uomini facevano di lei. Quel punto in qualche modo si fa strada in questo doppio ritratto di Anita Ekberg e dell’altrettanto affascinante attrice che ora la interpreta, anche se la domanda è se l’impressionante corporatura che Panizzi ha costruito attorno a lui abbia effettivamente aggiunto valore.
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