Le organizzazioni anticorruzione vogliono riaprire il caso di corruzione Shell


Foto: ANP

Diverse organizzazioni anticorruzione chiedono che la Procura riapra un’indagine sulla presunta corruzione del gruppo petrolifero e del gas Shell in Nigeria. Hanno presentato ricorso alla Corte dell’Aia contro la decisione del tribunale di archiviare il caso.

La Shell e l’italiana Eni hanno pagato 1,3 miliardi di dollari undici anni fa per i diritti di sfruttamento del giacimento petrolifero OPL-245 al largo delle coste nigeriane. Questo accordo ha sollevato sospetti di corruzione, poiché il governo nigeriano avrebbe trasferito la maggior parte dei proventi a una società di proprietà di un controverso ex ministro del petrolio.

Questo caso è da anni oggetto di contenzioso in Italia. L’anno scorso il tribunale di Milano ha deciso di assolvere Shell ed Eni e nel luglio di quest’anno il pubblico ministero italiano ha ritirato il ricorso. Successivamente, anche l’ufficio del pubblico ministero olandese ha rinunciato a ulteriori procedimenti giudiziari. Un sospetto non può essere processato due volte per lo stesso crimine.

Lo studio legale Prakken d’Oliveira, che lavora per conto delle organizzazioni anticorruzione Re:Common, HEDA Resource Center e Corner House, riconosce che Shell non può essere perseguita per corruzione in relazione all’accordo OPL-245. Ma la società afferma che vi sono basi sufficienti per ulteriori indagini e procedimenti penali per altri reati, tra cui riciclaggio di denaro e frode.

Secondo Antonio Tricarico di Re: Common, in questo caso ci sono “sospetti schiaccianti di un crimine”. Nick Hildyard di Corner House osserva che c’è un “travolgente interesse pubblico” nel riaprire le indagini. “Shell non dovrebbe ricevere un trattamento speciale perché è una grande azienda internazionale”.

Di recente anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha espresso preoccupazione per l’assoluzione di Shell ed Eni. La prova di tale innocenza sarebbe debole e contravverrebbe anche al trattato anti-corruzione dell’OCSE firmato dall’Italia.

Ma un portavoce della Shell ha sottolineato in risposta che la magistratura non ha fermato il caso contro il gruppo per niente. “La Procura di Milano ha ammesso che non ci sono prove di un accordo corruttivo o di pagamenti corruttivi, e che questo caso deve essere chiuso perché non c’è motivo per farlo”.

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