Quando la scorsa settimana i pubblici ministeri della città di Potenza, nel sud dell’Italia, hanno annunciato accuse contro un sospetto clan mafioso, era naturale che si trattasse di crimini pubblici come l’estorsione e l’omicidio. Ma è emersa un’accusa: secondo i pubblici ministeri, la famiglia mafiosa gestiva la mensa del tribunale locale. Ogni giorno, da anni, procuratori e magistrati inquirenti impegnati in cause penali bevevano caffè espresso e cappuccino nel posticino che, senza accorgersene, era gestito da potenti gangster.
“Erano a casa nostra”, ha detto Francesco Corsio, procuratore capo di Potenza, in conferenza stampa. Secondo Curcio, il clan Riviezzi potrebbe aver utilizzato la caffetteria per riciclare i proventi di reati e raccogliere informazioni giudiziarie, tra le altre cose. Ma sospetta che il motivo principale sia stato il “prestigio criminale”. “Quando i criminali di un altro gruppo escono e vedono che stanno dirigendo l’aula, devono pensare, oh uomo, questi ragazzi sono davvero intelligenti.”
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